domenica 31 gennaio 2010

Domare la Bestia: guidare fuoriserie da gentleman

Guida sicura o guida sportiva?....stessa cosa! Le due varianti non sembrano in antitesi, in entrambi i casi la sfida è quella di riuscire a guidare sfruttando al meglio le potenzialità della vettura.
Le corrette strategie per sfruttare il potenziale tacco-punta non vengono normalmente insegnate nelle scuola guida. Ricordiamoci, però, che la maggior parte dei parametri che influiscono sul comportamento dell'auto variano con il quadrato della velocità, cioè quadruplicano se questa raddoppia.
Prima avvertenza sedersi bene...mani a 9 e 15 sul volante, appoggiatesta regolato a 4-5 cm dal Vostro Regale capo, piede sinistro ben piantato pronto a spingere in modo da favorire l'ancoraggio del busto allo schienale. Il piede destro si sposta tra acceleratore e freno facendo perno sul tallone.
Entriamo in curva dosando la frenata calando gradulmente la pressione sul pedale inserendosi con un residuo 5-10% della potenza frenante utilizzata all'inizio. In ogni caso la curva va impostata stando il più possibile sul lato esterno, stringendo progressivamente fino al punto di corda (punto più vicino al centro geometrico della curva) per poi nuovamente riallargare in uscita verso l'esterno.
E se si perde l'aderenza? Innanzitutto meglio farlo con stile. Se l'auto sbanda con l'avantreno si parla si sottosterzo, spesso causato dall'alta velocità.Non scomponiamoci, la correzione è semplice. Generalmente il rilascio dell'acceleratore o un uso moderato del freno è sufficiente per far rientrare in traiettoria la vettura.
Il sovrasterzo, invece, è assai più difficle da padroneggiare. Nelle trazioni posteriori può essere causato da un'eccessiva accelerazione o da un brusco trasferimento di carico sull'avantreno (rilascio dell'acceleratore e/o frenata in curva).
In ogni caso è necessario controsterzare, girare il volante dalla parte opposta a quella della curva, e tenere in equilibrio la vettura dosando attentamente la potenza.
Infine, che si sbatta o meno...ricordate: non lasciate la pipa in rovere che stringete nel pugno, potrebbe essere l'ultima boccata.

sabato 30 gennaio 2010

Benito Mussolini e le visitatrici fasciste

Un’amante al giorno, ogni pomeriggio, posseduta nella Sala del Mappamondo.

Nonostante Benito Mussolini non fosse propriamente un adone, data la sua altezza (167 cm), la sua corporatura tarchiata, il viso pallindo, il naso aquilino e la bocca larga, il duce poteva vantare una moltitudine di amanti di ogni genere, probabilmente grazie all'eloquio trattandosi di un ottimo oratore. La nudità femminile lo affascinava e tormentava dalla tenera età di 16 anni, quando si introdusse in un postribolo. Quell'esperienza gli costò una blenorragia, ovvero lo scolo, ma bastò per trasmettergli la passione per il corpo femminile. Le donne di Mussolini provenivano tutte da famiglie borghesi, non amava le aristocratiche ne quelle di ambienti modesti, unica eccezione, Angela Curti, figlia di un tipografo socialista.

Alle amanti più assidue riservava il vasto tappeto, alle nuove, il sedile di pietra, ricoperto da un lungo cuscino trapunto. Durata dell’amplesso: un quarto d’ora. Più che di amanti, a dire il vero, si trattava di visitatrici fasciste, che si accostavano a lui come per deporre una corona d’alloro ai piedi del vicino Altare della Patria. Alle amanti vere, Benito Mussolini concedeva un trattamento meno frettoloso nella più romantica sala dello zodiaco, sotto un soffitto di stelle e pianeti.

Il duce sposò Rachele Guidi nel 1909, che passò accanto a lui trentacinque anni, perfettamente consapevole di essere cornificata. Prima di sposarlo, infatti, sapeva che Benito frequentava i casini e che per lui le donne, in linea di massima non avevano grossa importanza al di fuori della monta.

Le amanti più conosciute rimangono comunque Margherita Sarfatti, scrittrice e intellettuale che nel 1925 pubblicò in Inghilterra una famosa biografia di Mussolini, e Claretta Petacci, che volle condividere con lui la sorte durante gli ultimi giorni della Repubblica Sociale e che venne con lui fucilata.

Su questo preciso argomento è stato scritto un libro dal giornalista Giancarlo Fusco: "Mussolini e le donne"

venerdì 29 gennaio 2010

El medico dea peste: avvoltoi a Venezia.


"[...]la peste straziava i corpi che erano ricoperti da "fignoli, pustole, smanie" e mandavano un odore fetido. I ricchi morivano come i poveri. Volete sapere quanti Veneziani se ne andarono al Padreterno? Ottantamila, pensate, in diciassette mesi; dodicimila nel novembre del 1630; in un solo giorno, il 9, furono cinquecentonovantacinque [...]


Alvise Zen, "medico della peste", scrive a monsieur d'Audreville qualche anno dopo l'epidemia che decimò la popolazione di Venezia in due ondate successive, nel 1575 e nel 1630



In questo blog si propone tutto ciò che può essere interessante a fini formativi e di diletto.



Anni fa, a Venezia, nella nebbia di un Carnevale come altri, tra barocchi merletti e splendide cortigiane, la mia attenzione venne calamitata da un personaggio alto, curvo, con pallide fattezze d'uccello...in perfetta simbiosi col decadente clima che aleggiava tra le calli.

La piaga che maggiormente colpì la Serenissima, fu sicuramente la Peste Nera, che flagellò la città a più riprese, favorita dai fiorenti scambi di merci. "El medico dea peste" (XVII sec) non è una vera e propria maschera, ma un travestimento utilizzato dai "medici della peste", ovvero coloro che andavano a visitare i pazienti colpiti dalla peste con questo strano abbigliamento.
Il costume del medico dea peste è in se particolare: indossa una tunica di puro lino o di tela cerata ed una maschera che lo faceva assomigliare ad un grande uccello (più che altro era considerato un lugubre avvoltoio...). La ragione funzionale del grande becco stava nel fatto che dentro ci fossero poste delle bende impregnate di sostanze medicamentose e spezie aromatiche.

Sopra alla maschera portava degli occhiali ed inoltre era sempre accompagnato dalla fedele bacchetta, con la quale sollevava le vesti degli appestati, pensando che così mascherato la terribile epidemia non gli poteva causare alcun danno.


A questo punto, se si analizza il dato squisitamente estetico della maschera, non si possono non notare analogie di forme con le più antiche raffigurazioni tribali e religiose che la storia ci consegna.

Prendendo le fattezze delle maschere africane, australiane o addirittura il volto della divinità egizia Anubi possiamo notare che, pur non conoscendone le ragioni, questa fisionomia va da sempre a braccetto con la morte... Avvoltoi nella Storia.

giovedì 28 gennaio 2010

L'arte dell'imbalsamazione o tassidermia

A chi di voi, gentiluomini, non è mai capitato, trovandosi in casa di un nobile appassionato di caccia, di ammirare i suoi variopinti trofei? Un fagiano, un cinghiale o perfino un cervo possono essere conservati nel tempo mantenendo la loro bellezza selvaggia attraverso l'imbalsamazione o impagliatura. Quando si parla di imbalsamazione di animali il termine più corretto è tassidermia, dato che si tratta di mantenere pelliccia o piumaggio in ottimo stato (tassidermia dal greco: "mettere in ordine" + "la pelle").

Gli Antichi Egizi furono i primi a sviluppare le tecniche dell'imbalsamazione. Questi ultimi infatti ritenevano che la conservazione della salma potesse consentire allo spirito del defunto di riappropriarsene. La pratica era diffusa anche presso gli Inca e presso altre popolazioni del Perù, in aree climaticamente favorevoli ad operazioni di contrasto della decomposizione. I primi esempi di cadaveri che conservano parti non ossee provengono infatti da sepolture in ambienti poco adatti alla decomposizione come deserti o zone molto fredde.
Nella civiltà occidentale l'imbalsamazione fu utilizzata soprattutto per soldati e guerrieri di rango defunti lontano da casa ed i cui corpi si intendeva preservare per celebrarne le esequie nella madrepatria.

Oggi giorno l'imbalsamazione si usa, come del resto ho già detto, sugli animali, principalemte per farne trofei di caccia, ma anche per creare decorazioni, per esempio negli anni 30, in italia, i fenicotteri impagliati erano di gran moda. A volte si tratta dell'applicazione della pelle asportata dall'animale su una struttura di diversi materiali, che ricordi in tutto e per tutto i lineamenti del defunto. A volte invece si tratta di un vero e proprio lavoro di mummificazione come avvenivanei tempi antichi.

Tutt'ora esiste qualche esempio di imbalsamazione su un essere umano. Nell'Unione Sovietica la salma di Lenin è stata imbalsamata. La moderna imbalsamazione si giova della scoperta della formaldeide, ad opera del chimico August Wilhelm von Hofman (1867). Questa sostanza, poi evoluta nella formalina, soppiantò l'allora usato arsenico.


Per saperne di più su questa affascinante arte congiliamo il sito: http://www.taxidermy4cash.com/

mercoledì 27 gennaio 2010

Il braccio nel cielo: la nobile Arte della Falconeria

Nel XIII secolo Brunetto Latini dava alcune nozioni di falconeria nel suo "Tesoro".

Dante Alighieri, sempre nel XIII secolo, verseggia:

"L'anima che corre al richiamo
si assomiglia al falcone che vola al logoro
quale il falcone che prima à piè' il mira
indi si volge al grido e si protende
per lo desio del pasto che là il tira
lo spirito disdegnoso si paragona al falcone disilluso
come il falcon, ch'è stato assai sull'ali
che senza veder logoro od uccello
fa dire al falconiere. oimè tu cali,
discende basso onde si mosse snello
per cento ruote e da lungi si pone
del suo maestro disdegnoso e fello"

Disciplina venatoria molto antica e nobile, la cui origine viene fatta risalire agli antichi Egizi, simile alla caccia con il felino.Importante fu la diffusione delle tecniche arabe per la Falconeria, più raffinate di quelle europee e portate in occidente soprattutto con le Crociate. D'esempio é l'utilizzo del cappuccio in sostituzione della cigliatura, cappuccio che si presentava differente dall'attuale, ma che era comunque importante per tranquillizzare l'animale.
In Europa ebbe un momento di particolare fortuna nel Medio Evo che ebbe il suo apice sotto il regno dell'imperatore Federico II, autore di un trattato dal titolo De arte venandi cum avibus ("sull'arte di cacciare con gli uccelli").Per l'imperatore, una giornata senza Falconeria era una giornata persa. Anche quando era in battaglia riusciva a ritrovare ritagli di tempo in cui andare a caccia col falco. Durante l'assedio di Parma, però, i parmensi si accorsero della sua assenza e approfittarono dell'occasione per uscire dalle mura e massacrare il suo esercito. Hobby ,quindi, che comporta forti costi.
Idea di Federico era che il Falconiere praticasse questa attività non per il carniere, ma per addestrare il suo falco meglio degli altri e per farsi onore durante la caccia.

In questi ultimi vent'anni si è iniziato ad allevare anche rapaci notturni, dando così la nascita ad un'altra disciplina chiamata Guferia, che si orienta soprattutto sui cugini notturni dei consueti falchi. Va sottolineato anche il forte messaggio implicito nel "lanciare il proprio uccello in caccia"per poi vederlo tornare agile e fiero... giorno o notte che sia...



Bibliografia: Camerini G., Falconeria. L'arte antica di addestrare e cacciare con i falchi, , 2006

martedì 26 gennaio 2010

Baleneria

Più mi sprofondo in questa faccenda della baleneria e spingo le mie ricerche fino alla sua prima sorgente, più rimango impressionato dalla sua grande onorevolezza e antichità...
Herman Melville - Moby Dick

La pesca è uno dei passatempi squisitamente maschili che più amiamo e del quale parleremo nel dettaglio prossimamente, ma quest'oggi per dare un'immagine forte al nostro squisitissimo blog, canterò l'onore e la gloria della baleneria.

Ci basti pensare che la caccia alla balena ha origini antichissime, risalenti perfino al 6000 A.C.. Nella mitologia, Perseo fu il primo baleniere e, sia detto, che la prima balena attaccata non fu uccisa con intento venale. Infatti, Perseo arpionò il leviatano per salvare la bella Andromeda, incatenata agli scogli. Fu impresa ammirevole e cavalleresca dacchè il gigante mammifero venne abbattuto al primo lancio di arpione. Persino San Giorgio e il drago può essere considerata una vicenda simile a quella di Perseo e Andromeda. Difatto, nell'antichità, i draghi e le balene venivano spesso confusi e a volte addirittura scambiati. Dice Ezachiele: "Tu sei come il leone delle acque e il drago del mare" alludendo sicuramente a una balena.
La caccia alla balena trovò il suo massimo splendore nel XVI secolo nell'oceano Atlantico e nel XIX nel Pacifico. I primi balenieri commerciali furono i Baschi mentre invece i più numerosi furono statunitensi. La prima tecnica utilizzata nel medioevo si chiamava grind: si trattava di costringere piccoli branchi verso acque basse per poi colpire con le lance gli enormi cetacei. I Baschi acquistarono esperienza nella caccia e ne fecero il centro della loro economia. Empori commerciali che per la vendita di sottoprodotti della balena, quali la lingua, richiestissima e prelibata o il grasso, che viene salato e distribuito in tutta la Francia, sorsero sulle coste basche.

I tempi moderni hanno reso la caccia alla balena decisamente meno artistica
, ma per leggere qualcosa di inerente all'argomento trattato consiglio il libro di Tönnesen, J. N. och Arne Odd Johnsen: The history of modern whaling


Il fascino discreto dell'utensile da taglio: il San Potito.

Curtel cun è rèz, Imolese, Parmense, Ravennate, Riminese, Romagnolo, Roncola romagnola, San Potito, Saraca romagnola.

Per partire con le nostre rubriche abbiamo scelto l'emblema della canagliaggine romagnola, un utile utensile da celare sotto il vostro tabarro invernale... il San Potito.

Il coltello da lavoro a lama mobile è sempre stato molto diffuso, soprattutto in Italia, tra i ceti più popolari; e questo sia per il suo minimo ingombro, sia per il costo contenuto, generalmente a buon mercato. Da un punto di vista storico, poi, il coltello ha senza dubbio beneficiato delle discriminazioni sociali e legali che, per lungo tempo, hanno precluso il porto delle armi bianche lunghe (le spade) a tutti coloro che vivevano distanti dalla nobiltà o dalla ricca borghesia.
Quando poi le autorità, invocando ragioni di pubblica sicurezza, decisero che il popolo non potesse portare armi..la “popolarità” del coltello divenne ancora più eclatante. Era infatti evidente come, nel caso di un coltello da lavoro, diventasse piuttosto arduo stabilire il limite oltre il quale esso cessava di essere un utensile per diventare invece un´arma... Mentre, d´altra parte, il popolo non poteva certo rinunciare, oltre che ad uno strumento, a un´arma da difesa cui si era ormai abituato.
In molte tradizioni, in svariate culture, si crede che regalare un coltello ad un'amico possa rovinare il rapporto, tagliando, appunto, l'amicizia. Per questo chi riceve il regalo deve dare qualcosa in cambio, di solito una moneta, come pegno, come pagamento.
Questo coltello, le cui dimensioni vanno dai 35 a quasi 50 cm, prende nome da un piccolo borgo romagnolo, erroneamente viene chiamato anche il coltello del "Passatore", famoso fuorilegge il cui vero nome era Stefano Pelloni. Questo coltello ha infatti radici assai più recenti, la sua origne risale infatti alla prima metà del 1900. Il manico è in corno, spesso di bufalo o altro bovino. La lama, originariamente in ferro è stata sostituita con l'acciaio nelle riproduzioni moderne.
http://circolodelcoltello.splinder.com/




L'editoriale

Perché “Squisitamente”? Chiederete.
Squisitamente fa rima con maschile, fa rima con ognuno di Noi.
Un salotto privato, di raffinati legni e comodi pellami, in cui fumo di sigaro e buon distillato segnano un ritorno a sentieri interiori, a emozioni di confortevole appartenenza. Lo spirito di “Squisitamente” si fonda sul bisogno di fornire a giovanissimi e non, la possibilità di condividere, apprendere, apprezzare il mestiere di Uomo. Riappropriarsi di antichi rituali, conoscere l’arte del bienvivre, saper far nostri i gesti, istinti, bisogni propri dei nostri padri e dei loro stessi padri.
Se su Google digito “uomo” la terza voce che compare è “uomo incinto”. Proseguire non aiuta, troviamo: estetica, fitness, wellness, depilazione, carenze ormonali, eccetera… Tutto questo non ci piace, non ci basta.
L’uomo (dal latino homo) è un umano maschio adulto. Ancora non ci basta saperlo, per noi il concetto di Uomo è tabacco, è cuoio, è l’eterno giuoco delle carte… l’uomo costruito dai suoi stessi dettagli, vizi, debolezze.
Il terreno su cui ci affacciamo è vasto, sterminato, ma vedremo di procedere con ordine, selezionando, metodicamente, per voi, gli argomenti più interessanti,curiosi e permettendovi di entrare nel raffinato spirito del Club.
I nostri modelli sono infiniti, attuali e lontanissimi: briganti, buontemponi, vignaiuoli, teste coronate e umili mezzadri. L’umanità che ci affascina è trasversale, presente in epoche storiche e culture diverse, ma accomunata dall’irresistibile gusto dell’immanente, della tavola e del letto.
Non si può negare la portata ironica ed autoironica del progetto, le facili accuse di chiusura e lobbismo troveranno presto smentita nella missione culturale e divulgativa della rivista, nei suoi intenti pedagogici e di tutela del patrimonio tradizional-popolare.
Non siamo una setta, Squisitamente è aperto a qualunque lettore e collaboratore, prescindendo da appartenenze politiche, credo religiosi e status socio-economico.
Va comunque ribadito che il progetto nasce in appassionata terra di Romagna, da un gruppo di giovani, consapevoli che le differenze ci sono, vanno tutelate, vanno superate, vanno godute.